Creare ponti
Tanti anni fa, qualche giorno dopo la Laurea, mi fu chiesto cosa mi sarebbe piaciuto fare. Mi consigliarono di stilare un elenco dei propositi per gli anni a venire, di progetti, di idee. Tra le tante voci, mi venne spontaneo scriverne una un po’ astratta: “creare ponti”.
Non ch’io volessi disegnare o progettare ponti (non sono ingegnere), ma intendevo un tipo di creazione più astratta, un legame. Per me il ponte ha sempre avuto un’accezione positiva di un tramite che crea connessioni, interazione, rapporti. Un mezzo che unisce anziché dividere. Che lascia passare, invece di arginare e fermare, come potrebbe fare una diga.
Avevo avuto alcune esperienze di telemarketing, quei lavori che con un orario flessibile, permettono di mantenersi un po’ agli studi durante l’università, cominciando a mettere da parte qualche risparmio.
Il telemarketing è visto da molti con faccia schifata.
Qualcuno mi diceva: “Ma cosa?!? Chiami a casa della gente e li disturbi?”.
Sì, qualche volta era anche così, ma il più delle volte, lavorando per agenzie serie, il contatto era già altamente profilato cosicché non chiamavi Tizio al posto di Caio, e la persona dall’altra parte, se trattata con educazione e correttezza, accettava ben volentieri di essere disturbata.
Per ricevere in omaggio dei pannolini per incontinenza (vero, ho fatto anche questo) o un funzionario assicurativo, il lavoro era simile, anche se cambiava il target.
Mi ha fatto fare le ossa sul marketing tradizionale, più di certi libri, più di tanta teoria. Ho capito di persona che se il contatto non è profilato
correttamente perdi solo tempo e il marchio che rappresenti in quel momento rischia anche di perdere valore con un passaparola pessimo che ne va a rovinare la reputazione. Ho capito che il tono di voce, le argomentazioni che porti e veicoli alla persona contano, eccome se contano!
Prima i pannolini per incontinenti, al telefono.
Poi gli inserti dei quotidiani, di persona nella metro.
A Natale piccoli elettrodomestici, per regali last-minute in un mega-store di elettronica.
Infine l’appuntamento in azienda con un funzionario assicurativo, tramite il puro telemarketing tra database Kompass e Pagine Gialle (sì, c’erano ancora e funzionavano)
Ho migliorato a mano a mano le argomentazioni con cui promuovevo il prodotto l’azienda che rappresentavo. Questo implicava un cambio di registro, di TOV, di modalità.
Ho iniziato a capire cosa voleva dire creare ponti.
Se io non ci fossi stata, se quello che facevo io con il mio contatto fosse venuto meno, un tassello del funnel marketing (in tempi più recenti si è cominciato a chiamarlo così) sarebbe mancato e forse quel tale marchio non sarebbe arrivato a destinazione del potenziale cliente.
Anche quando “non piazzavo*” il servizio o il prodotto, se avessi avuto un tono scorretto (sgarbato, stizzito) avrei trasmesso un messaggio che il potenziale cliente avrebbe associato direttamente al marchio (oltre che a me).
A distanza di anni ho pensato che quel ruolo di “ponte” volevo rimanesse tra le mie competenze, uno dei ruoli da rivestire per i miei clienti, intrattenendo per loro rapporti, facendone le veci e trasmettendo i loro valori.
Ho capito che una piccola fetta del mio lavoro avrei voluto dedicarla alle PR.
* Piazzare un prodotto/servizio, cioè riuscire a venderlo, deriva dal termine piazzista, che, come la Treccani spiega, altri non era che il “rappresentante di una o più ditte, che provvede al collocamento e alla propaganda dei prodotti presso i clienti, e alla raccolta degli ordinativi, in determinate piazze commerciali; ha funzioni analoghe a quelle del commesso viaggiatore”.
Ora un termine desueto, sostituito da “rappresentante” o “funzionario” deriva a sua volta dalla parola “piazza”, il luogo in cui inizialmente si tenevano le trattative commerciali in città, nell’accezione di “piazza di mercato” [in Treccani, punto 2 ].